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I CINGHIALI DI PORTICI
  

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REGIA:    
Diego OLIVARES 

PRODUZIONE:  Italia   -   2003   -   Drammatico

DURATA:  86'

INTERPRETI:
Ninni Bruschetta, Carmine Borrino, Carlo Caracciolo, Michele Gente, Alessandra Borgia, Salvatore Grasso, Antonia Truppo

SCENEGGIATURA: Diego Olivares

FOTOGRAFIA: Cesare Accetta

SCENOGRAFIA: Antonio Farina 

MONTAGGIO: Giogiò Franchini

COSTUMI: Lilla Angelotti

MUSICHE: Zabrinski

SITO WEB

Trama

Per quei ragazzi difficili, relegati ad un’esistenza marginale in una comunità di recupero del napoletano, i problemi non mancano. Ma alcuni di loro trovano la forza di affrontare una nuova sfida, iscrivendosi ad un campionato di rugby.

Recensioni

 

 

 

Una meta realizzata con grande fatica

Può suonare un po’ strano, ma la storia produttiva di un film come I cinghiali di Portici, che nei momenti più felici riesce a sposare efficacemente la differente etica sportiva del rugby, è in realtà legata a doppio filo con quella dei mondiali di calcio! Il motivo è presto detto: le riprese dell’opera diretta dall’esordiente Diego Olivares avvennero quattro anni fa, più o meno in contemporanea con i mondiali coreani, eppure, nonostante la buona accoglienza ricevuta a manifestazioni come il Torino Film Festival (dove nel 2003 gli è stata tributata una menzione ex aequo per la sceneggiatura), I cinghiali di Portici ha dovuto aspettare un tempo interminabile prima di poter essere distribuito in sala. E per uno strano scherzo del destino tutto ciò è potuto accadere soltanto questa estate, mentre sugli schermi televisivi impazzavano le imprese degli azzurri in Germania! Da mondiale a mondiale. Il singolare episodio ci offre lo spunto per ribadire il nostro sconcerto, di fronte alle condizioni disastrose in cui sono costrette ad operare qui da noi le realtà più piccole, a livello produttivo e distributivo. Senza poter contare su alcun sostegno, pellicole anche valide come quella di Olivares finiscono per sostare a lungo nel dimenticatoio, rischiando, magari, di perdere parte del potenziale pubblico qualora debbano accontentarsi di una penalizzante collocazione estiva. È perfettamente comprensibile il tono amareggiato, ma al tempo stesso battagliero, con cui Diego Olivares ha commentato la situazione, nel corso di un’anteprima per la stampa svoltasi recentemente a Roma.
I cinghiali di Portici non è certo privo di difetti, di piccoli limiti tutto sommato accettabili per un’opera prima, mentre sono determinate qualità a renderlo un prodotto insolito nel panorama italiano. Innanzitutto, colpisce in positivo l’approccio alle possibilità, da noi ancora poco esplorate, di un particolare filone del cinema di genere, il film sportivo. Il formarsi della squadra di rugby per volontà di un operatore della comunità, interpretato dall’ottimo Ninni Bruschetta che questo sport lo ha praticato sul serio, viene raccontato nel modo appropriato. Ovvero respingendo una troppo facile impronta epicizzante, che avrebbe stonato con il contesto sociale che fa da sfondo alla vicenda. C’è invece in primo piano un ideale sportivo fatto di duri allenamenti, di rispetto per gli avversari, di campetti scalcinati e calpestati dalle squadre di una serie minore, confinate per giunta in una regione dove il rugby non è certo tra le discipline più conosciute, ed amate. Il valore aggiunto è rappresentato dai ragazzi, reclutati da Olivares in vario modo, per assicurare verità umana ai fatti narrati: giovani attori cresciuti in quartieri difficili, giocatori di una locale squadra di rugby, e coetanei che vivendo in quegli stessi luoghi hanno avuto esperienze di vita più dure, approdando poi ad una comunità di recupero, “Il Pioppo” di Somma Vesuviana, che ha offerto un aiuto concreto alla realizzazione del film. Le immagini sgranate sapientemente proposte da Cesare Accetta accentuano la dimensione di non luogo, di limbo dimenticato dal resto della società, che caratterizza tanto l’istituto che gli spazi circostanti, con quella spiaggia desolata nelle cui vicinanze i treni fanno avanti e indietro di continuo, senza fermarsi mai. Laddove l’impostazione visiva della pellicola risulta sempre coerente, qualche sbandamento si avverte sul piano del racconto. Non tutte le microstorie, da cui emerge un precario affresco collettivo, sono adeguatamente messe a fuoco. Alcuni personaggi colpiscono al cuore, altri si fanno presto dimenticare. Arriva poi un finale aperto, sospeso, a rimettere tutto in gioco. Aspettando quella sporca ultima meta.

Stefano Coccia

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